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Welfare: per il censis serve un superministero

11 giugno 2008

Obiettivo del Censis puntato sul welfare. Quello tradizionale, dice l'istituto di ricerca, «non basta più a dare sicurezza». Così, l'Italia si ritrova immersa in una realtà sociale «indecifrabile e minacciosa», che sfocia irrimediabilmente in una crisi. Con questo «welfare bloccato che spreca risorse e non risponde ai bisogni», secondo il Censis, viene meno la capacità «di connettersi, di fare relazioni, di essere una comunità che sa stare insieme, aggregare, includere». Per Giuseppe De Rita, presidente del Censis, come per l'economia, anche il sociale ha bisogno di un superministero che si assuma la «responsabilità politica unitaria» del settore. E che si occupi senza frammentazione di famiglia, di istruzione, di immigrazione, di pari opportunità. «L'Italia - ha osservato - è incapace di connettersi, di fare relazioni, di essere una comunità che sa stare insieme. Il welfare tradizionale non basta più a dare sicurezza». È una «crisi profonda. C'è troppa frantumazione nei servizi, prevale l'offerta ma non risponde poi alla domanda. Le famiglie sono lasciate a se stesse. Il sociale vive di un'offerta abbondante che però è autopropulsiva».

Il complesso rapporto con gli immigrati è per il Censis la punta dell'iceberg di questa difficoltà di socializzare. Il lavoro in nero è in aumento, specialmente per colf e badanti. A testimoniarlo è la riduzione del 20,8% degli immigrati regolarizzati e impiegati presso le famiglie italiane. Ma il numero effettivo di badanti, secondo il Censis, è nettamente superiore a quello dichiarato: «stime prudenziali – afferma l'istituto di ricerca – consentono di fissare in 700-800 mila le persone che lavorano in famiglia e in 10 miliardi di euro il valore annuale della loro attività». Anche nei 646 mila immigrati regolarizzati nel 2002 si è verificata una vera e propria falla, che si è originata nel sistema sociale. Dopo cinque anni, nel 2007, il loro numero era sceso a 505 mila. Che fine ha fatto il restante 22%? Secondo il Censis non sono usciti dall'Italia, ma sono semplicemente " sommersi", passati a impieghi in nero e quindi non più regolari. Eppure, proprio gli immigrati in regola hanno dimostrano grande vitalità: il 60% si è trasferito in un'altra provincia per motivi di lavoro; più di 88 mila quelli che si sono sposati.

Anche le famiglie italiane non se la passano bene. La crisi sociale le ha investite in pieno, colpendo soprattutto le donne. I numeri di un welfare «avaro» di attenzioni alle famiglie parlano di una spesa sociale che si ferma appena all'1% del Pil, nonché di redditi familiari troppo bassi per il 59% degli italiani. Tutti elementi che giustificano la scarsa natalità. Per il 27% degli intervistati gli adulti sono troppo presi da se stessi; il 24% dice che mancano adeguati servizi di supporto alle famiglie; il 23% lamenta che si lavora troppo. Insomma, in Italia fare figli è sempre più una scelta difficile.

Critici anche i giovani, nei confronti dell'espressione del sociale più vicina a loro: la scuola. «Non serve un titolo di studi per trovare un lavoro», la pensa così oltre un quarto dei ragazzi fra i 14 e 19 anni. L'università viene vista come un " parcheggio": il 55% dei giovani intervistati dice che ci si iscrive negli atenei italiani solo perché non si hanno alternative. E l'80% degli adolescenti confessa di chiedersi spesso il motivo per cui frequenta la scuola. Pesa la distanza culturale e anagrafica fra studenti e insegnanti, secondo il Censis. Quasi il 67% dei docenti delle scuole medie ha più di cinquant'anni. La percentuale scende alle superiori, attestandosi al 53% e alle scuole elementari, dove il 44% è over cinquanta.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Aggiornata il 16 maggio 2013