Stato sanitario del Paese. Italiani più 'vecchi' e più 'cronici'. Bambini troppo sedentari.
18 dicembre 2014
Gli italiani sono sempre più anziani: nel 2013, gli over 65 hanno raggiunto il 21,2% della popolazione. Ma anche longevi, si confermano infatti ai primi posti nella Ue per quanto riguarda la speranza di vita: 79,6 anni per gli uomini e 84,4 per le donne. In prospettiva però i dati non sono confortanti: tra i bambini è elevata la sedentarietà e la percentuale di quelli in sovrappeso. Le malattie circolatorie seguite da tumori e patologie respiratorie continuano a rimanere al vertice delle cause di morte. Per quanto riguarda i “vizi”, i fumatori sono il 20,9% ma sono in calo le vendite di sigarette, e sul fronte del consumo di alcol gli italiani continuano a posizionarsi sotto la media Ue (6,1 litri in media assunti all’anno rispetto ai 10,9 lt della Ue). Al palo invece la salute orale, con una crescita della domanda inevasa da parte dell’odontoiatria pubblica.
Sono questi solo alcuni dei moltissimi indicatori contenuti nella Relazione sullo Stato sanitario del Paese 2012-2013 presentata oggi al Ministero della Salute.
Dai dati emerge un Ssn in fermento. Per il futuro del nostro sistema sanitario si prospetta infatti un periodo di imponenti cambiamenti. Riorganizzazione della rete ospedaliera, potenziamento del territorio attraverso le Aft e le Uccp, sviluppo delle competenze delle professioni sanitarie e una farmacia sempre più presidio sanitario con offerta di servizi.
Popolazione. Over 65 sono il 21,2%. Stranieri a quota 4,5mln. Al 1° gennaio 2014 la popolazione residente supera i 60 milioni (60.782.668 unità). Nel corso del 2013 la dinamica naturale (differenza tra nascite e decessi) registra un saldo negativo di quasi 86.000 unità, dato da 514mila nati e 600mila decessi. Il saldo migratorio è pari quasi a 1 milione e 200.000 unità, grazie a oltre 3 milioni di iscrizioni contrapposte a quasi 2 milioni di cancellazioni. Continua il processo di invecchiamento della popolazione italiana, che al 1° gennaio 2013 registra un indice di vecchiaia pari al 151,4%. Gli individui con 65 anni e oltre hanno raggiunto il 21,2% della popolazione, i giovani fino a 14 anni sono invece il 14% e la popolazione in età attiva, 15-64 anni, è pari a meno dei due terzi del totale. Al 1° gennaio 2013 la popolazione straniera residente nel nostro Paese ammonta a quasi 4 milioni e mezzo di individui, ovvero il 7,4% della popolazione totale, rispetto al 6,8% del 1° gennaio 2012, con un incremento di 335mila unità. Confrontando l’ultimo decennio si è registrato un incremento consistente della presenza straniera in Italia: al 1° gennaio 2002 non raggiungeva il milione e mezzo di persone. In circa 10 anni gli stranieri residenti hanno registrato un aumento di 3 milioni di individui, più del 200%. La popolazione straniera appartenente alla fascia di età 18-64 anni raccoglie il 74,9% del totale degli stranieri residenti. Assolutamente minima la quota di anziani (65+ anni), con una percentuale che non raggiunge il 3%. La quota dei minorenni è invece appena superiore al 22%.
Qualità della vita. Italiani tra i più longevi d’Europa. Crescono differenze di genere. Bassa mortalità infantile
Speranza di vita tra le più alte d’Europa, mortalità infantile tra le più basse. Nel 2012, l’Italia è ai primi posti nella graduatoria europea della speranza di vita alla nascita (79,6 anni per gli uomini e 84,4 per le donne). Oggi l’Italia è tra i Paesi a più bassa mortalità infantile: il tasso nel 2011 è pari a 3,1 per 1.000 nati vivi residenti. Nel 2013, la prevalenza di chi dichiara di stare male o molto male rimane stabile al 7,3% nella popolazione di 14 anni e più e al 20,1% tra gli anziani, ma si accentuano le differenze di genere a svantaggio delle donne.
Condizioni di salute. Il 14,7% della popolazione dichiara di essere affetto da almeno una patologia cronica
Le malattie croniche rappresentano una delle principali sfide per la sanità pubblica in tutti i Paesi. Tra i fattori che determinano tali patologie, alcuni sono comportamentali e quindi modificabili attraverso la promozione di stili di vita salutari, altri sono di tipo genetico e altri ancora afferiscono ad aspetti socioeconomici e ambientali, anch’essi rimuovibili attraverso politiche non strettamente sanitarie. Allo stesso tempo le malattie croniche sono responsabili di molte delle persistenti disuguaglianze nella salute, evidenziando un forte gradiente socioeconomico e rilevanti differenze di genere nella loro diffusione; importante anche l’impatto che tali malattie producono sulla qualità della vita e sulla percezione del benessere a livello individuale. In base ai risultati dell’ultima indagine sulle “Condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari”, nel 2013 il 14,7% della popolazione ha dichiarato di essere affetto da almeno una malattia cronica grave. Tale percentuale è in aumento solo per effetto dell’invecchiamento della popolazione. La salute percepita (uno dei principali indicatori di salute soggettiva riconosciuto a livello internazionale per la sua capacità di riflettere condizioni fortemente correlate con la sopravvivenza e la domanda di prestazioni sanitarie) non evidenzia variazioni significative nel tempo. Nel 2013, la prevalenza, standardizzata per età, di chi dichiara di stare male o molto male rimane stabile al 7,3% nella popolazione di 14 anni e più e al 20,1% tra gli anziani, ma si accentuano le differenze di genere a svantaggio delle donne, già marcate nel 2005. Rispetto al 2005 migliora lo stato di salute fisica e peggiora lo stato di salute psicologico. Rimangono rilevanti le disuguaglianze sociali e territoriali che penalizzano alcuni gruppi di popolazione, in particolare gli anziani del Sud del Paese.
Cause di morte. Malattie circolatorie, tumori e malattie respiratorie le prime cause. La mortalità è indicatore fondamentale per misurare lo stato di salute di una popolazione; la mortalità per causa, in particolare, consente di descrivere il ruolo delle varie patologie. Gli indici presentati sono stati elaborati a partire dai dati ufficiali di mortalità e popolazione di fonte Istat. Sono stati analizzati i dati più recenti disponibili (relativi al 2011), codificati con il Sistema ICD-10. Sono presentati: numero assoluto di decessi, tassi grezzi e standardizzati per età, per le principali cause di morte, analizzate per genere, età e Regione di residenza. Le malattie cronico degenerative, legate al noto processo di invecchiamento della popolazione italiana, si confermano principali cause di morte: malattie circolatorie e tumori causano nel loro complesso ormai da anni circa i due terzi dei decessi (68% uomini, 66,4% donne) ma, mentre tra gli uomini il peso di queste due cause si equivale (34% ciascuna), tra le donne le malattie circolatorie superano di molto i tumori (41% vs 25%). Le malattie respiratorie sono la terza causa, sia per gli uomini sia per le donne (8% e 6%, rispettivamente), seguite per gli uomini dalle cause violente (5%) e per le donne dalle malattie endocrine (5%). L’analisi per Regione di residenza di grandi gruppi di cause evidenzia significative differenze; nella mortalità per tumori, il Nord presenta una situazione critica: tra gli uomini tutte le Regioni con tasso di mortalità superiore al dato nazionale sono al Nord (ma sono presenti anche Lazio, Campania e Sardegna); tra le donne, sono al Nord (con inserimento del Lazio) tutte le Regioni con situazione peggiore del dato nazionale. Anche nella mortalità per malattie circolatorie si ha un chiaro trend geografico, con il Sud sfavorito; sia tra gli uomini sia tra le donne tutte le Regioni con tasso superiore al dato nazionale sono al Sud (con inserimento del Lazio in entrambi i generi e anche dell’Umbria solo tra gli uomini). Si segnala la situazione critica della Campania, sia nella mortalità generale sia in molte cause di morte.
Alimentazione e attività fisica. Bambini troppo sedentari e in sovrappeso. Nel 2012 persistono, nei bambini di 8-9 anni, abitudini alimentari scorrette, confermando i livelli preoccupanti di eccesso ponderale, anche se si evidenzia un trend in leggera diminuzione. Tra i bambini di 8-9 anni, il 22.2% è in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità. Inoltre, secondo un’indagine del 2012, il 17% dei bambini non ha praticato movimento (attività sportiva strutturata a scuola o all’esterno o semplice gioco all’aperto) il giorno precedente l’indagine, e permangono elevate le abitudini sedentarie. Nel 2012, in Italia, il consumo di 5 porzioni di frutta e/o verdura al giorno resta basso e sostanzialmente stabile dal 2008 al 2012 tra i 18-69 anni, mentre tra gli ultra64enni il 45% consuma appena una o due porzioni giornaliere
Tabacco. I fumatori sono il 20,9%. In calo la vendita di sigarette. La prevenzione e la cura del tabagismo, essenziali per promuovere e tutelare la salute pubblica, sono obiettivi che non possono essere perseguiti dal solo Ministero della salute, ma dal Governo nel suo complesso, tenendo conto delle implicazioni relative agli aspetti economici, che non possono tuttavia prevalere sul supremo interesse della tutela della salute, come sostenuto anche dalla Convenzione Quadro Oms per il Controllo del Tabacco – FCTC. Secondo i dati Istat, nel 2013, su 51,9 milioni di abitanti con età superiore ai 14 anni i fumatori sono circa 10,8 milioni (20,9%), di cui 6,6 milioni di uomini (26,4%) e 4,2 milioni di donne (15,7%). Nel 2013, secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le vendite dei prodotti del tabacco si sono ridotte del 5,4%, rispetto al 2012. In particolare, le vendite di sigarette si sono ridotte del 5,7%. La diminuzione delle vendite di sigarette negli ultimi 10 anni (2004-2013) è stata del 25,1%.
Alcol. Beviamo meno che nel resto d’Europa. Aumenta l’assunzione tra le donne. Beviamo meno che nel resto d’Europa, ma nel 2012 quasi 70.000 persone in carico ai servizi per alcol-dipendenti Il consumo pro capite di alcool in Italia riferito all’anno 2010 (6,1 litri) è notevolmente più basso di quello medio della Regione europea dell’Oms (10,9 litri) e anche il più basso tra i Paesi dell’UE, ma appare rilevante l’aumento del consumo alcolico femminile, seppure ancora inferiore a quello maschile. Per quanto riguarda l’alcool, nel 2012 sono stati presi in carico presso i presidi algologici territoriali del Ssn 69.770 alcoldipendenti (maschi 54.431; femmine 15.339). I giovani al di sotto dei 30 anni rappresentano il 9,1%. Nel 2012 le diagnosi ospedaliere per patologie totalmente alcool-attribuibili sono state 75.445 (58.410 maschi e 17.035 femmine), con un tasso nazionale di ospedalizzazione pari a 113,3 per 100mila abitanti, che conferma il trend discendente in atto a livello nazionale a partire dal 2002.
Droga. Nel 2012 sono stati più di 164mila i tossicodipendenti in carico ai SerD. Relativamente alle sostanze d’abuso (alcool escluso) nel 2012 sono stati presi in carico, dai SerD (Servizi per le Dipendenze), 164.101 pazienti. La sostanza d’abuso più diffusa è l’eroina (74,4%), seguita dalla cocaina (14,8%) e dai cannabinoidi (8,7% ). soggetti che hanno richiesto per la prima volta un trattamento ai SerD nel 2012 sono stati 30.169 (nel 2011 erano 33.679), con un tempo medio di latenza stimato tra inizio uso e richiesta di primo trattamento tra i 4 e gli 8 anni. L’età media dei nuovi utenti è circa 34,4 anni. Si rivolgono ai SerD più tardi, con un aumento del tempo fuori trattamento e dei rischi che ne conseguono.
Gioco d’azzardo. I patologici sono tra lo 0,5 e il 2,2% della popolazione. I giocatori patologici in Italia sono stimati tra lo 0,5 e il 2,2 per cento della popolazione. La stima dei giocatori d’azzardo “problematici” (cioè di coloro che giocano frequentemente investendo anche discrete somme di denaro, ma che non hanno ancora sviluppato una vera e propria dipendenza patologica pur essendo a forte rischio evolutivo) varia dall’1,3% al 3,8% della popolazione generale. La stima dei giocatori d’azzardo “patologici” (cioè con una vera e propria malattia che si manifesta con una dipendenza incontrollabile) varia dallo 0,5% al 2,2%. Secondo un’indagine 2012-2013, il 49,4% degli studenti tra i 15 e i 19 anni gioca d’azzardo, di questi sono problematici il 7,2% e patologici il 3,2%
Promozione e tutela della salute orale. Aumento domanda inevasa dall’odontoiatria pubblica. In Italia, l’offerta pubblica di prestazioni odontostomatologiche viene assicurata secondo quanto normato dal DPCM 29 novembre 2001, con intensità e livelli di copertura diversificati in relazione a quanto consentito dai bilanci locali e in base alle strategie e priorità identificate dalle diverse Regioni e Province Autonome. Con il tempo, di pari passo a una non puntuale realizzazione di specifici programmi di tutela della salute odontoiatrica, si sono avuti un aumento della domanda di prestazioni non evasa all’odontoiatria pubblica e un incremento delle prestazioni eseguite da odontoiatri esercenti la libera professione. Il Ministero della salute, nell’ambito di specifiche iniziative di salute pubblica, ha promosso l’adozione di misure di prevenzione orale anche attraverso l’emanazione di raccomandazioni di comportamento clinico basate su una valutazione analitica delle evidenze scientifiche. Nel formulare tali indicazioni, a supporto dell’attività di lavoro di quanti coinvolti nella gestione della salute orale, sono stati presi in considerazione specifici target di popolazione (individui in età evolutiva, anziani, popolazione tossicodipendente).
Il personale del Servizio sanitario nazionale a quota 715.992 mila unità. Di queste 665.031 fanno riferimento al personale dipendente delle ASL (strutture territoriali e ospedali), delle Aziende ospedaliere, delle Aziende ospedaliere universitarie, degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) pubblici, cui si aggiunge il personale impiegato presso ESTAV Toscana, ISPO, ARES Lazio, ARES Lombardia. Oltre il 70% è costituito da personale afferente al ruolo sanitario (dirigenza e comparto). Sempre alle stesse Aziende fanno capo 34.125 unità di personale assunte con contratto di lavoro cosiddetto “flessibile”, che comprende il tempo determinato, il contratto di formazione lavoro, i lavori socialmente utili (LSU), il lavoro interinale e il telelavoro. Infine, vanno conteggiate nel totale del personale che opera nel Ssn le 16.836 unità di personale universitario che, seppure non dipendenti del Ssn, prestano servizio ed erogano prestazioni assistenziali presso le strutture del Ssn.
Ecco i profili degli operatori sanitari. In tutto243.855 medici, di cui il 51% opera nel Ssn, il 33% è costituito da medici “convenzionati” con il Ssn e il 16% lavora nelle strutture equiparate al pubblico e nelle case di cura private (convenzionate e non); 332.857 unità di personale infermieristico, di cui circa l’86% afferisce al Ssn; 49.555 unità di personale con funzioni riabilitative, di cui il 43% lavora presso le strutture del Ssn, il 41% circa presso gli istituti o centri di riabilitazione (ex art. 26 legge n. 833/197) e il 16% nelle strutture equiparate al pubblico e nelle case di cura private; 45.285 unità di personale tecnico-sanitario, di cui l’83% presta servizio presso strutture del Ssn; 10.894 unità di personale con funzioni di vigilanza e ispezione che operano quasi esclusivamente (96%) nelle Aziende del Ssn. L’età media del personale del Ssn è pari a 47,3 anni. I medici che operano nelle strutture del Ssn risultano pari a 109.170, corrispondenti a 1,84 medici per 1.000 abitanti e il personale infermieristico (infermieri, infermieri pediatrici e ostetriche) è di 276.862 unità, pari a 4,46 infermieri per 1.000 abitanti; ne consegue un rapporto di 2,43 infermieri per medico.
Il futuro delle professioni sanitarie: in arrivo l’evoluzione delle competenze. Dopo un lungo confronto, iniziato nel 2012, tra le rappresentanze professionali e sindacali interessate, sono state avviate le procedure per l’approvazione dello schema di Accordo Stato-Regioni sulla “Ridefinizione, implementazione e approfondimento delle competenze e delle responsabilità dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico”. L’iniziale atteggiamento dubitativo di parte dei sindacati medici è stato superato con l’attuale proposta, sulla quale tutti i sindacati hanno convenuto che “gli infermieri e le altre professioni sanitarie, nell’ambito delle responsabilità già delineate dagli specifici profili professionali di riferimento, sono garanti Sintesi della Relazione del processo assistenziale, ed è per questo che è necessaria e non più rinviabile l’evoluzione professionale verso le competenze avanzate e di tipo specialistico”. Lo schema di Accordo in corso di invio alla Conferenza Stato-Regioni trova fondamento nelle seguenti motivazioni. Negli ultimi vent’anni le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e la professione di ostetrica, in virtù della legislazione del settore, sono state oggetto e soggetto di una profonda evoluzione ordinamentale e formativa; questa innovazione ha fatto sì che la maggioranza del personale del comparto sanità sia costituita da laureati e da laureati specialistici formati nella medesima Facoltà universitaria di medicina e chirurgia. Il consolidarsi di questo fenomeno e la previsione di un ridimensionamento fisiologico della presenza attiva di medici nel Ssn, ancora alto rispetto alla media degli Stati dell’UE, ha comportato la necessità di rivisitare le competenze di queste professioni sanitarie. È stato quindi attivato presso il Ministero della salute un Tavolo tecnico con gli Assessorati Regionali alla Sanità, al fine di verificare le attuali competenze dei professionisti sanitari, in considerazione dello sviluppo formativo universitario e delle sperimentazioni positive già in essere in alcune Regioni, delle consolidate esperienze europee ed extraeuropee e del gradimento positivo degli operatori, medici e infermieri, degli amministratori e soprattutto dei cittadini. La proposta elaborata, oggetto di una vasta consultazione con le rappresentanze professionali e sindacali di tutte le professioni sanitarie, compresa quella medica, ridisegna il rapporto tra professione medica e professioni infermieristiche.
Riorganizzazione delle reti ospedaliere e della rete dell’emergenza-urgenza: ancora differenze da Regione a Regione. Tutte le Regioni hanno individuato una rete per i pazienti in situazioni di emergenza cardiologica, neuro vascolare (ictus) e traumatica, pazienti quindi con patologie tempo-dipendenti. Tuttavia, come emerso dai dati rilevati dalle Sdo, la loro realizzazione sul territorio nazionale non è ancora uniforme.
La rete dell’emergenza-urgenza è in una fase di profonda ristrutturazione sia nelle Regioni sottoposte a Piano di rientro sia in altre Regioni, in conseguenza della più ampia revisione delle reti sanitarie assistenziali finalizzata a ridurre gli squilibri presenti tra ospedale e territorio e a rispondere ai nuovi bisogni della popolazione.
In particolare, i principali interventi di ristrutturazione avviati dalle Regioni riguardano la razionalizzazione dei nodi della rete secondo il modello Hub & Spoke, l’attivazione dei Punti di primo intervento (PPI), la revisione dei bacini di utenza delle Centrali Operative, l’integrazione tra il Sistema di emergenza e il servizio di Continuità assistenziale, l’Inappropriatezza in generale dei servizi. Anche in questi caso il grado di attuazione delle azioni relative alla revisione dei nodi della rete è diversificato e, nella maggior parte dei casi, la situazione è ancora in divenire.
Cure primarie e continuità dell’assistenza. Il futuro sono le Aft e Uccp: in campo 43 progetti in 15 Regioni. Il riordino delle cure primarie, introdotto dalla legge n. 189/2012, prevede l’obbligatorietà dell’istituzione di forme aggregative mono professionale e multi-professionale (Aggregazioni Funzionali Territoriali, AFT; Unità Complesse di Cure Primarie, UCCP) tra Mmg in tutte le loro funzioni, PLS, specialisti ambulatoriali e altre professionalità sanitarie presenti sul territorio anche al fine di consentire l’offerta attiva di prestazioni e servizi, la presa in carico globale, tempestiva e unitaria dell’assistito, la continuità dell’assistenza tutti i giorni della settimana per tutto l’arco della giornata. Per dare concreta attuazione alla legge occorre che siano siglati i nuovi Accordi collettivi nazionali e nel corso del 2013 si è lavorato all’elaborazione dell’Atto di indirizzo per la medicina convenzionata, licenziato dal Comitato di settore Regioni-Sanità, nella seduta del 12 febbraio 2014, propedeutico all’emanazione degli stessi. In tema di assistenza primaria, con l’Accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2012 la programmazione nazionale ha previsto, per l’anno 2012, l’individuazione di fondi dedicati alla presentazione di specifici progetti regionali, in attuazione agli indirizzi programmatori del Psn.
In questo ambito sono stati elaborati, in materia di Assistenza Primaria, 43 progetti finalizzati alla riqualificazione dell’assistenza territoriale, elaborati da 15 Regioni. Dagli atti programmatori inviati e dagli adempimenti di verifica Lea risultano attivati e/o in fase di attuazione i seguenti modelli organizzativi: 123 Case della Salute ripartite tra Toscana (50), Liguria (3), Emilia Romagna (49), Umbria (2) Molise (4), Marche (14), Lazio (1); 42 Presidi Territoriali di Assistenza (PTA), dei quali 35 nella Regione Sicilia, 5 nel Molise e 2 in Abruzzo; 34 Unità Territoriali di Assistenza Primaria (UTAP), delle quali 32 nella Regione Veneto e 2 nella Regione Abruzzo; 175 Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), delle quali 164 attivate nella Regione Veneto e 11 nella Regione Basilicata, ma la cui ulteriore attivazione è prevista sull’intero territorio nazionale. Inoltre, sei Regioni su quindici, pari al 40%, hanno previsto l’individuazione di modalità organizzative per garantire l’assistenza sanitaria in H24 e consentire la riduzione degli accessi impropri nelle strutture di emergenza (Liguria, Emilia Romagna, Marche, Campania, Sicilia, Abruzzo). Nel 2012, la medicina generale è stata garantita, sul territorio nazionale, da 45.429 Mmg, con una media del numero di scelte di 1.156 utenti per Mmg. Nel 2012, i Pls erano in totale 7.656, con un numero medio di assistiti per medico di 879. Il Servizio di Continuità Assistenziale ha visto impegnati 12.027 medici titolari che hanno effettuato complessivamente 17.260 contatti per 100mila abitanti.
Il ruolo delle farmacie: sempre più presidi sanitari. Con la legge n. 69/2009 vengono previsti nuovi servizi a “forte valenza sociosanitaria” erogabili dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Ssn, finalizzati a far sì che le farmacie possano partecipare al servizio di assistenza domiciliare integrata a supporto delle attività del medico di medicina generale, collaborare ai programmi di educazione sanitaria della popolazione, effettuare nei loro locali analisi di prima istanza, nonché prenotazione di visite ed esami specialistici. In attuazione della sopracitata legge, il D.lgs. 3 ottobre 2009, n. 153 e i successivi decreti attuativi hanno formalizzato il nuovo ruolo della farmacia di comunità tracciando la tipologia delle prestazioni erogate e le attività che il farmacista può svolgere. Il Ministero della salute sta supportando questa fase di trasformazione e ha elaborato le “Linee di indirizzo sugli strumenti per concorrere a ridurre gli errori in terapia farmacologica e nell’erogazione dei servizi assistenziali erogati nelle farmacie di comunità” con il coinvolgimento di FOFI, FNOMCEO, IPASVI, SIFO e Regioni. Il Manuale fornisce un quadro di riferimento per il nuovo ruolo che le farmacie di comunità assumono e rappresenta la declinazione italiana della Pharmaceutical care applicata all’ambito territoriale. Le farmacie, accanto ai servizi tradizionali, rafforzano il loro ruolo di presidio sanitario, offrendo nuovi servizi a forte valenza sociosanitaria in sinergia con gli altri operatori del servizio sanitario. Il nuovo ruolo dei farmacisti include, accanto all’attività di counseling, la responsabilità di comprendere la situazione psico-sanitaria sociale della persona e la gestione e il monitoraggio delle nuove professioni non organizzate in ordini e collegi professionali. La farmacia potrà rivelarsi un presidio di importanza vitale in caso di emergenza e di primo soccorso soprattutto in aree rurali e montane, nelle piccole Isole o in situazioni di rilevante afflusso di popolazione. L’innovazione tecnologica e i servizi di telefarmacia saranno utili soprattutto nelle aree disagiate e per le patologie croniche e potranno contribuire all’ottimizzazione delle risorse e al monitoraggio dello stato di salute del paziente. I criteri per la remunerazione, da parte del Ssn, delle nuove prestazioni e funzioni sono definiti con Accordi Collettivi Nazionali.
Spesa farmaceutica: tra pubblica e privata la quota è 25,5 mld. Nel 2012 ogni italiano ha acquistato in media 30 confezioni di medicinali attraverso le farmacie pubbliche e private, per un totale di oltre 1,8 miliardi di confezioni. La spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 25,5 miliardi di euro, il 76% dei quali è stato rimborsato dal Ssn. In media, per ogni cittadino italiano la spesa per farmaci è stata di circa 430 euro. Le dosi giornaliere totali prescritte ogni 1.000 abitanti nel 2012 sono state 1.626,8. La spesa farmaceutica territoriale complessiva, sia pubblica sia privata, si è ridotta rispetto all’anno precedente del –5,6% ed è stata pari a 19.389 milioni di euro. Le dosi giornaliere prescritte ogni 1.000 abitanti a carico del Ssn in regime di assistenza convenzionata sono state 985 (in aumento rispetto all’anno precedente del 2,3%). La spesa territoriale pubblica è stata di 11.823 milioni di euro e ha registrato una riduzione del –8%. Nei primi 9 mesi del 2013 gli italiani hanno acquistato un totale di 1.398 milioni di confezioni di medicinali, per una media di circa 23 confezioni a testa. A livello di consumi in regime di assistenza convenzionata, sono state prescritte 1.002,4 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti, un valore sostanzialmente in crescita (+1,8%) rispetto all’anno precedente. La spesa farmaceutica nazionale totale è stata pari, nei primi 9 mesi del 2013, a 19,5 miliardi di euro, il 74,7% dei quali rimborsati dal Ssn. Nello stesso periodo la spesa farmaceutica territoriale a carico del Ssn è stata pari a 8.799 milioni di euro (148,1 euro pro capite) con una riduzione pari al –3,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La spesa per i farmaci utilizzati in ambito ospedaliero è stata pari a 1,9 miliardi di euro, per il 68,1% composta dai farmaci di classe H, per il 16,7% dai farmaci di classe C e per il restante 15,2% dai farmaci di classe A.
Farmacovigilanza. In Italia tasso di segnalazione superiore a quello previsto dall’Oms ma solo il 31% sono casi gravi. Nel 2013, la Rete Nazionale di Farmacovigilanza ha registrato 40.957 segnalazioni di sospette Adr, equivalenti a un tasso di segnalazione pari a 690 casi per milione di abitanti, risultato superiore a quello di altri Paesi europei con una forte tradizione nella farmacovigilanza e al valore definito dall’Oms come gold standard per un efficiente sistema di farmacovigilanza in grado di identificare tempestivamente i segnali di allarme (300 segnalazioni per milione di abitanti). Circa un terzo (31%) delle segnalazioni è stato definito come grave, in larga parte perché causa di ricovero ospedaliero o prolungamento dello stesso. I medici ospedalieri hanno rappresentato la principale fonte delle segnalazioni (52%), seguiti dai farmacisti (16%), dagli specialisti (9%) e dai Mmg (7%). La maggior parte delle segnalazioni di farmacovigilanza ha riguardato farmaci antimicrobici (24%), antineoplastici (18%), del sistema nervoso centrale (14%), del sangue (12%) e del sistema cardiovascolare (9%). Le reazioni più segnalate sono state quelle cutanee (19%), seguite da quelle relative alle condizioni generali (14%), le gastrointestinali (14%) e quelle del sistema nervoso (10%). Gli altri organi e sistemi sono stati coinvolti con una percentuale inferiore al 10%.
18 dicembre 2014
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Aggiornata il 22 dicembre 2014