Rapporto Bes 2015: Vita media in aumento, stabile quella in buona salute
2 dicembre 2015
Nella terza edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) l’Istat offre un quadro integrato dei principali fenomeni sociali, economici e ambientali che hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro Paese negli anni recenti, assumendo come punto di partenza la multidimensionalità del benessere e analizzando un ampio numero di indicatori. Anche quest’anno il Rapporto Bes analizza i fattori che hanno un impatto diretto sul benessere umano e sull’ambiente attraverso 12 domini – Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi – articolati in 130 indicatori. Rispetto alle precedenti, questa edizione propone una nuova sezione che descrive il percorso di costruzione del Bes con particolare attenzione agli aspetti di carattere metodologico. Per quanto riguarda la Salute il Rapporto Bes evidenzia come “l’Italia ha un livello di speranza di vita tra i più elevati in Europa – al primo posto con 80,3 anni per gli uomini e al terzo per le donne con 85,2 – e la longevità continua ad aumentare. La mortalità infantile scende ancora – siamo a 30 decessi ogni 10mila nati vivi – come pure la mortalità per incidenti da mezzi di trasporto dei giovani – 0,8 vittime ogni 10mila residenti – e quella per tumori maligni tra gli adulti (8,9 decessi per 10mila residenti). Migliorano, rispetto al 2005, anche le condizioni di salute fisica, e prosegue la riduzione di fumatori e di consumatori di alcol a rischio. Fra le criticità, non migliora la qualità della sopravvivenza e peggiora il benessere psicologico. Si conferma il trend crescente della mortalità per demenze e delle malattie del sistema nervoso tra gli anziani (27,3 decessi per 10mila abitanti), soprattutto tra i grandi anziani. Il carico assistenziale che queste patologie comportano sulle famiglie e sui servizi socio-sanitari si riflette negativamente sulla qualità della vita, non solo dei malati ma anche dei loro familiari. Ancora diffusi stili di vita non virtuosi come la sedentarietà, che riguarda quattro persone su 10 – l’eccesso di peso – più di quattro su 10 – e un non adeguato consumo di frutta e verdura – più di otto persone su 10. Le donne, da sempre in vantaggio per la sopravvivenza, hanno una maggiore propensione alla prevenzione e stili di vita più salutari ma spesso sono penalizzate da patologie che comportano limitazioni nelle attività svolte abitualmente. Nel tempo queste differenze fra i generi si sono ridotte, anche per il progressivo incremento di anni mediamente vissuti dagli uomini. Sono invece in crescita le differenze territoriali, con il Mezzogiorno che vede aumentare, anche per effetto della crisi, il proprio svantaggio nella speranza di vita (81,5 anni per il Mezzogiorno contro 82,5 anni per il Nord), nella qualità della vita (55,4 anni di speranza di vita in buona salute per il Mezzogiorno contro 60 anni per il Nord), nella mortalità infantile, nella salute fisica e psicologica e nei fattori di rischio legati agli stili di vita (sedentarietà, eccesso di peso e scorrette abitudini alimentari). Si mantengono marcate anche le disuguaglianze sociali negli stili di vita: le persone con titolo di studio più alto, a parità di età godono di migliori condizioni di salute fisica e mentale e adottano generalmente comportamenti più salutari. L’indice composito di salute, che incorpora gli indicatori della speranza di vita (alla nascita, in buona salute alla nascita, senza limitazioni nelle attività a 65 anni) e dello stato fisico e psicologico, si attesta a 102,6 nel 2013, in miglioramento dal 97,6 del 2009”. Per quanto riguarda la Qualità dei Servizi il Rapporto rileva un graduale miglioramento dell’erogazione di acqua, elettricità, gas e rifiuti, mentre permangono ancora criticità per servizi sociali, mobilità e carceri. Non sono lusinghiere infatti le valutazioni sui servizi sociali e socio-sanitari, sia quelli destinati alla popolazione anziana (dal 2004 al 2012 gli anziani assistiti passano da 3 a 4 ogni 100) sia quelli offerti alle famiglie con bambini. Nell’ultimo anno considerato, dopo un periodo di lieve ma costante aumento, l’assistenza domiciliare integrata e l’offerta di posti letto di natura residenziale sono rimaste stabili (6,2 i posti letto nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari ogni mille abitanti nel 2012; 6,5 nel 2011). Segnano il passo anche i servizi per la conciliazione famiglia-lavoro, diminuisce l’offerta di asili nido, micronidi e servizi integrativi per la prima infanzia, in primo luogo per la contrazione delle risorse a disposizione dei Comuni (dal 13,9% del 2011/2012 al 13% del 2012/2013). L’attività di assistenza sanitaria erogata a domicilio è caratterizzata da differenze territoriali: si passa da 3 anziani assistiti ogni 100 nel Mezzogiorno a 5 al Nord. Il picco più elevato si registra in Emilia-Romagna con quasi 12 anziani assistiti ogni 100 residenti. Nelle restanti regioni il livello di presa in carico è assai più modesto: si va, infatti, da 8 anziani in Umbria a meno di 1 ogni 100 in Valle d’Aosta e nella Provincia autonoma di Bolzano. Nelle regioni del Nord si assistono a domicilio mediamente 5 anziani ogni 100 (ma sulla media influisce molto il livello elevato dell’Emilia-Romagna); nelle regioni del Centro si scende a 3,6 e in quelle del Mezzogiorno a 3,4. In queste ultime, tra il 2004 e il 2012 si registra però l’incremento maggiore del numero di anziani assistiti, la cui quota è più che raddoppiata.
© 2015 Panorama della Sanità. All Rights Reserved.
Aggiornata il 4 dicembre 2015