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PIANO ASUGI. DAI DISTRETTI ALLA “CASE DI COMUNITÀ”, COSÌ SI TRASFORMA L’OFFERTA SANITARIA NELLA VENEZIA GIULIA. L’Azienda ha redatto il documento operativo per arrivare all’attuazione della riforma. A Trieste due Distretti e tre Dipartimenti a livello sup

16 maggio 2023

15 maggio 2023

Il Piccolo

PIANO ASUGI. DAI DISTRETTI ALLA “CASE DI COMUNITÀ”, COSÌ SI TRASFORMA L’OFFERTA SANITARIA NELLA VENEZIA GIULIA. L’Azienda ha redatto il documento operativo per arrivare all’attuazione della riforma. A Trieste due Distretti e tre Dipartimenti a livello superiore. Resta l’incognita legata al personale

 

D.D.A.

TRIESTE Lo schema è pronto. L’Azienda sanitaria giuliano isontina ha preparato il documento che delinea la riforma della sanità territoriale targata Pnrr. Il testo diffuso fra i tecnici di Asugi comprende 2 Distretti, 11 case della comunità, 70 posti in ospedali di comunità e una “cittadella della salute” attorno all’ospedale Maggiore di Trieste, sempre che la carenza di personale permetta il decollo dell’integrazione delle cure fra ospedale, territorio, residenze per anziani e domicilio.

 

Il piano L’obiettivo è creare nuovi luoghi di cura a medio-bassa intensità clinica, per non intasare gli ospedali fra accessi impropri al Pronto soccorso e dimissioni impossibili per assenza di strutture intermedie che diano assistenza prima del ritorno a casa. Se questa funzione sarà assolta dagli ospedali di comunità, la gestione quotidiana della salute e della cronicità spetterà alle case della comunità. Il tutto coordinato dalle Centrali operative territoriali, che garantiranno la continuità assistenziale nel passaggio fra luoghi di cura. L’assistenza delle case di comunità sarà attiva anche di notte e nei festivi, fatta di prime cure, medici di famiglia, specialisti, prevenzione, riabilitazione, cure domiciliari, e guardia medica. L’obiettivo è integrare i luoghi di cura e, partendo dalla valutazione del paziente, creare un progetto di assistenza personalizzato. È la risposta a una società sempre più vecchia: nel 2050 in Fvg il 35,8% dei residenti supererà i 65 anni. Oggi sono il 26, 6%.

I livelli decisionali L’assetto del sistema prevede che i Distretti restino in vita: 2 a Trieste (dimezzati) e 2 nell’Isontino. A sovraintenderli nasce il Dipartimento di assistenza distrettuale, alle cui dipendenze sono poste strutture che prima dipendevano dai Distretti: Salute della donna, dell’età evolutiva e famiglia (i vecchi consultori, la cui riduzione da 4 a 2 suscita proteste a Trieste), Disturbi del neurosviluppo, Rete cure palliative e hospice. Allo stesso livello del Dad ma distinto da esso, ci sarà il Dipartimento di specialistica territoriale, responsabile delle strutture per le patologie cardiovascolari, respiratorie e diabetiche, accentrate sul piano amministrativo ma chiamate a svolgere il servizio nelle varie case di comunità e al Maggiore. Il terzo Dipartimento è quello della salute mentale e qui si conferma il passo indietro sulla riduzione dei Csm triestini, che restano 4.

Le case della comunità. Le case della comunità saranno il primo punto d’accesso e il luogo di erogazione dell’assistenza. L’obiettivo è mettere a disposizione medici di famiglia e una equipe multidisciplinare di specialisti, che gestiranno chi arriva con l’impegnativa attraverso il Cup, i pazienti cronici, quelli in assistenza domiciliare e chi dovesse necessitare di cura nel weekend e di notte. Nelle case hub si faranno assistenza primaria e specialistica, servizi diagnostici e prelievi con presenza di medici 7 giorni su 7 e 24 ore su 24. Nelle spoke la presenza medica sarà limitata a 6 giorni e sulle 12 ore diurne. L’attività infermieristica verrà garantita in entrambi i casi sulle 12 ore, ma il documento raccomanda le 24 ore nelle case hub. A Trieste il Distretto 1 conterà tre case: al Maggiore (hub), all’ex Opp (hub) e a Roiano (spoke). Al Maggiore l’Asugi concentrerà col tempo diversi servizi sanitari e sociosanitari, creando una “cittadella della salute” che ricomprenda il vecchio ospedale (sempre più votato alle cure territoriali) e l’Itis. Al Distretto 2 faranno capo le case di via Valmaura (hub), Muggia (hub) e Aurisina (spoke). A prescindere dalla corrispondenza fra residenza e Distretto, il documento evidenzia che il paziente potrà accedere alla casa per lui più comoda. Gorizia manterrà la divisione distrettuale in Alto e Basso Isontino. Nel primo caso si prevedono un hub a Gorizia e due spoke a Cormons e Gradisca. Nel Basso Isontino l’hub a Monfalcone e la spoke a Grado.

Gli ospedali di comunità Gli ospedali di comunità sono strutturati in moduli da 20 letti ogni 100 mila abitanti e offriranno assistenza ai pazienti dimessi dall’ospedale o cronici in peggioramento. L’assistenza infermieristica sarà organizzata 7 giorni su 7 per 24 ore, mentre il medico sarà presente 4 ore e mezza al giorno 6 giorni su 7. Dopo l’abbassamento degli standard deciso a livello nazionale, nella Venezia Giulia si prevedono 40 posti in area giuliana e 30 nell’isontina. A Trieste tutto si risolverà nella struttura appena avviata in via sperimentale all’Itis: viene meno così la necessità di coinvolgere rsa private.

Le incognite La riforma parte con grandi pesi sulle spalle. I 133 medici di base di Asugi sono insufficienti già oggi e in futuro ne serviranno di più, secondo un modello che li vorrebbe (ma serve un accordo) dividersi 20 ore in studio, 6 nella casa di comunità e 12 tra visite a domicilio e in strutture residenziali, nonché impegnati nella continuità assistenziale notturna. Asugi riconosce che «il personale attualmente presente è del tutto insufficiente». La seconda incognita è la reale capacità di integrazione di tutti i setting assistenziali. Non c’è solo da far dialogare sanità ospedaliera e territoriale, ma anche connettere rsa e case di riposo. Servirà definire i compiti delle Centrali operative e servirà l’informatica, che oggi non permette a un medico ospedaliero di vedere le terapie seguite dal paziente ospitato in una residenza per anziani. L’ultimo nervo scoperto è culturale. Da una parte la sanità territoriale restia alle razionalizzazioni, dall’altra gli specialisti ospedalieri poco inclini alla medicina di prossimità. E un personale pubblico demotivato e medici di base spesso restii a lasciare gli ambulatori.   

Aggiornata il 16 maggio 2023