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Rapporto Istat. La sanità ai tempi della crisi. Il 9,5% degli italiani rinuncia alle cure per motivi economici o liste d’attesa troppo lunghe. Ma il 71,5% giudica eccellenti le prestazioni ricevute

www.quotidianosanita.it

20 maggio 2015

20 MAG - Di seguito il capitolo integrale del Rapporto annuale Istat 2015 dedicato alla “Eterogeneità territoriali del Sistema sanitario nazionale: equità allocativa e livelli di soddisfazione”.

Le riforme che hanno interessato il Sistema sanitario nazionale (Ssn) a partire dagli anni Novanta – fino agli ultimi provvedimenti sul contenimento della spesa e del Patto della Salute – hanno avuto un triplice obiettivo: quello di attuare il principio di sussidiarietà nel settore sanitario, attraverso la devoluzione alle Regioni della gestione e organizzazione dei servizi di assistenza e l’introduzione del federalismo fiscale; avviare il processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie; migliorare l’efficienza del settore, attraverso il controllo della spesa e l’obbligo del pareggio di bilancio da parte delle Regioni.

Il processo di rientro dal debito, cui hanno dovuto far fronte numerose Regioni, associato alla difficile congiuntura economica, ha avuto come conseguenza una riduzione dell’equità nell’accesso alle cure cui si ispira il nostro Ssn. Il fatto che alcune delle Regioni sotto piano di rientro dal debito non riescano ad assicurare i livelli essenziali di assistenza, erogando volumi di prestazioni al di sotto degli standard ritenuti adeguati, testimonia le difficoltà del settore.


L’analisi che segue pone l’attenzione sugli aspetti allocativi del Sistema e sulla congruenza con i bisogni potenziali di assistenza sanitaria. A tal fine è stato effettuato un confronto tra la “geografia della salute”, la mappa della dotazione del personale sanitario (proxy della presenza di strutture sul territorio) e la mappa del finanziamento al Ssn. Il confronto tra il netto gradiente territoriale nord-sud nella distribuzione del finanziamento tra le Regioni e la molto più variegata geografia della salute mette in luce lo squilibrio tra i bisogni potenziali di assistenza sanitaria e i criteri allocativi delle risorse adottati.

Nelle regioni del Sud la quota pro capite di finanziamento non raggiunge i 1.900 euro, con il minimo di 1.755 in Campania, mentre in altre aree del Paese supera i duemila euro. I valori massimi, superiori ai 2.300 euro, si rilevano in Valle d’Aosta, Bolzano e Trento, dove sono anche più elevate le dotazioni medie di personale sanitario a fronte di prevalenze nettamente più basse di popolazione in cattive condizioni di salute.

Quote elevate di persone con problemi di salute (più di un quinto della popolazione totale) si rilevano in Umbria, Sardegna, Emilia-Romagna, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Puglia e Abruzzo.

Tra queste, una situazione critica si osserva per le Regioni in piano di rientroche hanno bassi livelli di dotazione di personale sanitario e ricevono un finanziamento inferiore a quello correlato al bisogno (1.810 euro per abitante in Puglia, 1.890 nelle Marche e 1.915 in Sardegna); questo squilibrio, che dura da tempo, potrebbe essere una causa oltre che un effetto dei deficit di bilancio. La consistenza del personale sanitario e l’ammontare dei finanziamenti pubblici rappresentano elementi importanti di valutazione ma, in un quadro così complesso e articolato, è essenziale misurare l’offerta di servizi sanitari anche in termini di qualità percepita dai cittadini e di accessibilità dell’assistenza.

La prospettiva del paziente è infatti riconosciuta come elemento importante per la valutazione della qualità di cura, perché consente di considerare aspetti dell’attività assistenziale altrimenti non valutabili, quali la comunicazione, la trasparenza, la condivisione sulle decisioni terapeutiche e il rispetto per la dignità della persona.

Per rispondere a tale obiettivo, è stato considerato il livello di soddisfazione complessivo dei cittadini per il servizio sanitario pubblico e quello specifico per le prestazioni erogate nell’ambito di strutture sia pubbliche sia accreditate, nonché l’eventuale rinuncia a prestazioni sanitarie erogabili dal Ssn per motivi economici o connessi all’offerta (liste di attesa troppo lunghe, scomodità per raggiungere la struttura oppure orari scomodi per la fruizione della prestazione).

La maggioranza della popolazione adulta (60,8 per cento) ha valutato positivamente il servizio sanitario pubblico, con l’attribuzione di punteggi che variano tra 6 e 10,23 valutazione stabile rispetto al 2005. Tuttavia, il giudizio complessivo nasconde diseguaglianze territoriali, che si sono accentuate rispetto al 2005.

Nel Nord aumenta la quota dei cittadini che ritiene molto soddisfacente l’attività del servizio sanitario pubblico: quasi il 30 per cento si dichiara molto soddisfatto (con punteggi da 8 a 10). Al Sud la quota non raggiunge il dieci per cento. Nel tempo i giudizi si sono polarizzati, con l’aumento complessivo dei molto soddisfatti al Nord e dei molto insoddisfatti, soprattutto nel Sud, dove quasi una persona su tre esprime un giudizio negativo (con punteggi da 1 a 4).

Nel Lazio – una delle regioni con un piano di rientro particolarmente oneroso – si registra un netto incremento della quota di insoddisfatti, pari a 8 punti percentuali. A parità di caratteristiche sociali e demografiche e delle principali determinanti socio-economiche, si confermano i forti squilibri nella geografia della soddisfazione.

L’opportunità di avere un elevato livello di soddisfazione rispetto alla Toscana (presa a riferimento perché simile alla media nazionale) è oltre quattro volte superiore a Bolzano e a Trento e tre volte in Valle d’Aosta; si dimezza in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno e nel Lazio. L’analisi per Azienda sanitaria locale (Asl) consente di valutare nel dettaglio l’elevata eterogeneità territoriale. In alcune Asl, ad esempio quelle di Bolzano e Trento, la quota dei molto soddisfatti rappresenta la maggioranza della popolazione adulta (rispettivamente 54,2 e 51,6 per cento), mentre le più basse percentuali si rilevano in alcune Asl della Campania (2,3 per cento) o della Calabria (circa tre per cento).

Le regioni con la maggiore eterogeneità interna sono il Piemonte, dove la quota dei molto soddisfatti varia nelle 13 Asl dal 14,7 al 43,6 per cento, e la Toscana, dove varia dall’8,7 al 32,3 per cento.

Il livello di soddisfazione migliora sensibilmente quando la valutazione riguarda prestazioni sanitarie cui si è fatto ricorso nell’ambito del Ssn.

Il 71,5 per cento di chi ha fruito di una visita o un accertamento di tipo specialistico ha espresso un giudizio di eccellenza sulla qualità complessiva dell’ultima prestazione, con punteggi tra 8 e 10.26 La stima fa riferimento a un consistente gruppo di popolazione: le persone che hanno fatto ricorso, nel 2013, a visite mediche specialistiche (escluse quelle odontoiatriche) o accertamenti diagnostici specialistici a carico del Ssn sono circa 25 milioni, il 41,2 per cento della popolazione.

Le differenze territoriali del livello di soddisfazione sono meno pronunciate rispetto a quelle per il giudizio complessivo sul Ssn, soprattutto per effetto di valori più alti nel Mezzogiorno. Infatti, anche nelle regioni che si collocano nella parte più bassa della graduatoria (Molise, Campania, Calabria), la maggioranza di coloro che si sono sottoposti a una visita o un accertamento specialistico a carico del servizio sanitario pubblico assegna un punteggio che varia da 8 a 10.

Nonostante ciò, resta evidente la distanza del Nord dalle regioni del Mezzogiorno e da alcune del Centro. Si è più spesso molto soddisfatti delle visite o degli accertamenti specialistici a Trento (con un rischio relativo quasi doppio rispetto alla Sardegna presa come riferimento), a Bolzano, in Emilia-Romagna e Lombardia, mentre livelli più bassi si osservano nelle regioni del Mezzogiorno ma anche in gran parte del Centro.

In tutte le Asl, a eccezione di cinque casi, la maggioranza di chi si è sottoposto a visite o accertamenti specialistici assegna punteggi di eccellenza.

Il fenomeno della rinuncia a prestazioni sanitarie (foregone care) è un importante indicatore di qualità dell’offerta, perché rivela una domanda di assistenza alla quale il sistema non riesce a dare adeguata risposta.

Il 9,5 per cento della popolazione non ha potuto fruire di prestazioni che dovrebbero essere garantite dal servizio sanitario pubblico per motivi economici o per carenze delle strutture di offerta(tempi di attesa troppo lunghi, difficoltà a raggiungere la struttura oppure orari scomodi).

Le fragilità si concentrano, ancora una volta, su alcuni soggetti e su specifiche aree. Nel Nord-ovest si registra la quota più bassa (6,2 per cento) di rinuncia per motivi economici o carenza dell’offerta, mentre nel Mezzogiorno la quota è più che doppia (13,2 per cento). Tuttavia lo svantaggio per chi ha una condizione economica meno favorevole è maggiore nel Nord.

Osservando le differenze regionali, tenendo sotto controllo le caratteristiche socio-demografiche e gli altri fattori che hanno un impatto sul fenomeno, emerge una netta separazione tra Centro-nord e Mezzogiorno a svantaggio di quest’ultimo. Fa eccezione il Lazio, che presenta un rischio del 60 per cento superiore alla regione di riferimento, confermando una situazione decisamente peggiore rispetto alle altre regioni del Centro. Il rischio più basso di rinuncia si rileva nelle Province autonome di Trento e Bolzano, in Valle d’Aosta e in Lombardia.

Tra le Asl ci sono forti distanze: si passa dal 21,7 per cento di rinunce in una Asl della Sardegna al 2,6 per cento nella Asl di Trento e in una della Lombardia. Nel Nord si osserva la maggiore concentrazione di Asl che hanno quote non superiori al 5,5 per cento di persone che rinunciano a prestazioni erogabili dal Ssn per motivi legati all’offerta. Merita comunque particolare attenzione l’eterogeneità intra-regionale, che presenta un valore massimo in Emilia-Romagna (dal 2,9 al 13,7 per cento, tra le 11 Asl), elevato in Piemonte, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia e Sardegna, mentre in Veneto, la regione con il maggior numero di Asl, la rinuncia a prestazioni essenziali oscilla tra il 4,0 e l’11,5 per cento.

Gli squilibri allocativi, la contrazione della spesa e le conseguenti difficoltà a garantire i livelli essenziali di assistenza riferiti possono tradursi in un aumento della spesa a carico delle famiglie (out of pocket).Infatti, gli strumenti principali che le Regioni attuano per il contenimento della spesa e il rientro del debito sono l’introduzione dei ticket e di quote di compartecipazione alla spesa a carico dei cittadini. Si tratta di interventi che hanno l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica, anche attraverso un contenimento della domanda ottenuto con l’introduzione di un costo per le prestazioni sanitarie.

Tuttavia ulteriori aggravi di spesa per le famiglie potrebbero aumentare la rinuncia a prestazioni sanitarie, dovuta spesso a motivi economici. Ciò comporta un rischio di sottoconsumo sanitario, pericoloso per le condizioni di salute della popolazione
 

Aggiornata il 21 maggio 2015