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Sanità digitale, spesa in lieve crescita ma il cittadino preferisce lo sportello. Il Politecnico di Milano: «Costi evitabili per 5 mld»

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L’innovazione come strada obbligata per colmare il gap tra risorse disponibili e bisogni sanitari in aumento, soprattutto per l’emergenza cronicità. Questa la via indicata dall'Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, nel suo report annuale. Che se da un lato certifica una leggera ripresa degli investimenti nel settore nel 2017, dopo il calo dell’anno prima, dall’altro evidenzia come il “salto” verso un pieno utilizzo delle tecnologie è ancora lontano. Un ritardo che pesa sia sull’assistenza sia sui conti, trascinando con sé una serie di costi occulti – supera i cinque miliardi il potenziale risparmio stimato - che vanno a gravare sulla collettività. Eppure, l’aspettativa dei cittadini verso i servizi digitali è alta.

Il trend della spesa. Nel 2017 la spesa complessiva per la digitalizzazione della sanità italiana – tra Regioni, aziende sanitarie e medici - è stimata in 1,3 miliardi di euro, cioè l’1,1% della spesa sanitaria pubblica, distribuita in circa 21 euro per abitante. Un aumento del 2% rispetto al 2016 (spesa stimata pari a 1,27 mld di euro). L'investimento per l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità è così ripartito tra gli attori del Ssn: 890 milioni dalle strutture sanitarie (+2% sul 2016); 320 milioni spesi direttamente dalle Regioni (+3% rispetto ai 310 milioni del 2016); 7,9 mln spesi dai 47mila Mmg (1.551 euro per medico, qualche spicciolo in più rispetto ai 1.538 euro pro medico del 2016); 16,7 milioni spesi dal ministero della Salute (cento milioni in più del 2016). «Non si può parlare di una vera e propria inversione di tendenza – precisano dall’Osservatorio – quanto di una maggiore attenzione da parte dei vari attori del settore alle priorità definite a livello centrale».

I costi occulti del non digitale. Se l’80% dei cittadini ritirasse i referti on line (e un 10% rispettivamente in farmacia e di persona), si potrebbero generare risparmi fino 1,63 miliardi di euro. Questa la stima di massima dell’Osservatorio - realizzata per la prima volta quest’anno – rispetto ai costi occulti del “non digitale”. La mancata innovazione, insomma, non soltanto complica la vita di strutture, medici e cittadini, ma crea un danno economico. L’Osservatorio ha stimato, ad esempio, che i cittadini che vanno di persona a ritirare un referto sono ancora l’80% di quanti hanno usato la stessa modalità l’anno passato (il 60% della popolazione) e che il tempo medio per "ritirare" è di 45 minuti. Un tempo che si ridurrebbe a 20 minuti se il referto fosse ritirato in farmacia e a 5 minuti, se fosse scaricato via web. Da qui due possibili scenari: quello di minima, che stima un risparmio di 1,12 miliardi di euro - in cui è la metà dei cittadini a ritirare i referti on line, mentre dell’altra metà il 25% li recupera in farmacia e il restante quarto di persona – e quello di massima spiegato sopra, in cui ricorrerebbe al digitale l’80% degli utenti. Traslare l’analisi ad altri tipi di servizi (non solo referti) fa emergere un puzzle di risparmi: 1,15 miliardi per l’accesso a informazioni su prestazioni e strutture sanitarie; 1,43 miliardi per la prenotazione di visite ed esami; 980 milioni per il pagamento di visite ed esami. Nel complesso, oltre cinque miliardi.

Fse, Pdta e Telemedicina: la cronicità può attendere. Premono le scadenze: prima tra tutte quella sull’implementazione del fascicolo sanitario elettronico (Fse), rinviata a fine 2018, che ha portato le Regioni a investire, sviluppando ulteriori servizi digitali per i cittadino, come portali Web e App per l’accesso ai servizi sanitari. In prima linea c’è la Lombardia: secondo i dati Agid, i cittadini che hanno attivato il Fse sono il 66% dei residenti della Regione e il 46% di questi lo ha utilizzato. La Lombardia – ricordano dall’Osservatorio - lo ha anche inserito nel nuovo sistema digitale per gestire i pazienti cronici e ha definito le nuove linee d’indirizzo per le piattaforme di presa in carico dei pazienti, che possono essere seguite sia dalle aziende sanitarie pubbliche sia dalle private. Altre Regioni, come Emilia Romagna e Toscana, stanno poi valutando di “arricchire” il Fse con elementi aggiuntivi come le Dat del testamento biologico. La Pa di Trento, poi, ha integrato il Fse con le piattaforme di telemedicina o con piattaforme per la promozione di stili di vita sani che coinvolgono i cittadini anche attraverso la gamification.
Best practice a parte, però, la cifra è quella di un sotto-utilizzo, anche delle soluzioni che faciliterebbero l’integrazione tra ospedale e territorio. Secondo l’Osservatorio, le soluzioni che abilitano l’interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso Pdta informatizzati scarseggiano: solo un’azienda su tre (il 29%) le utilizza con professionisti sanitari dell’Ao appartenenti a diverse Uo/dipartimenti, e il 23% con professionisti all’interno di una o più reti di patologia. I Pdta più informatizzati sono nell’area del diabete (84%), della cardiologia (68%) e della neurologia (47%). Ma solo il 19% dei Mmg ha ad oggi attivato un flusso informativo in ambito Pdta.
Quanto alla telemedicina, si stima che nel 2017 le aziende italiane vi abbiano investito 4 milioni in più dell’anno prima: dai 20 ai 24 milioni del 2017. Ma solo il 38% dei direttori generali la considera “molto rilevante”. Tra i servizi più diffusi, intanto, si conferma il tele-consulto tra strutture e dipartimenti, mentre tele-salute e tele-assistenza sono ancora poco utilizzati. Anche tra specialisti e medici di medicina generale la telemedicina è poco usata, ma in questo caso prevale il tele-consulto (11% degli specialisti e 4% dei Mmg), mentre – malgrado l’interesse dichiarato dal 50% dei pazienti - stentano ad affermarsi i servizi che lo coinvolgano, come tele-salute (rispettivamente 7% e 2% ) e tele-assistenza (5% e 4%).
La presa in carico massiccia del paziente è ancora limitata alle attività gestionali-amministrative: come la gestione dei dati anagrafici (80% delle aziende) e delle agende e delle prenotazioni (63%). La presa in carico individualizzata del paziente tramite supporto digitale avviene solo in un terzo del campione di aziende e appena dal 9% dei Mmg che redigono il Pai (Piano di assistenza individuale). Uno scartamento ridotto che il 61% dei medici di famiglia attribuisce alla “mancata valorizzazione economica” del compito.

Cartella clinica e servizi sanitari al cittadino superstar nelle aziende sanitarie. La cartella clinica elettronica è considerato dal 72% dei Dg (l’anno prima erano il 59%) lo strumento prioritario per supportare gli obiettivi strategici delle strutture sanitarie. All’interno della Cce, rilevano dall’Osservatorio del Politecnico, sono ormai diffuse funzionalità come la consultazione di referti e immagini e di order management, ma sono ancora “rare” le funzionalità avanzate, come la gestione del diario medico e/o infermieristico e la farmacoterapia, presenti in meno della metà del campione. Crescono invece da dodici a diciotto milioni di euro gli investimenti in Mobile Hospital, cioè l’insieme di applicazioni e strumenti (smartphone, tablet, pc portatili), che supportano supportano le attività clinico-assistenziali del personale sanitario. Poco diffusi i servizi di firma elettronica avanzata, sia per il personale (9% delle aziende) sia per il consenso dei pazienti al trattamento dati e alle procedure sanitarie (rispettivamente il 4% e il 2%).
Referti scaricabili via Web, conferma/disdetta di appuntamenti, prenotazioni di prestazioni on line: i servizi digitali al cittadino si confermano tra gli ambiti prioritari per le direzioni strategiche, con il 59% dei direttori che lo ritiene “molto rilevante” (l’anno scorso era il 56%) e la volontà, in oltre il 60% dei casi, di aumentare gli investimenti nel 2018 rispetto ai 19 milioni del 2017.
Per il secondo anno consecutivo aumenta – dal 36% al 45% - la quota di direttori che indicano come prioritario lo sviluppo di sistemi di Big Data Analytics e Business Intelligence, anche se gli investimenti si riducono da 15 a 13 milioni di euro. Le principali fonti di dati utilizzate sono i database amministrativi, le cui informazioni sono analizzate essenzialmente come strumenti di Descriptive Analytics, mentre solo nel 4% dei casi sono in grado di rispondere a domande sul futuro (Predictive Analytics). Secondo i Cio, alla base delle difficoltà di sviluppo di soluzioni di Analytics sono nel 53% dei casi le limitate risorse disponibili. Per Cio e Direzioni strategiche, i Big Data Analytics per la medicina di precisione saranno l’ambito a maggiore impatto nei prossimi cinque anni, ma anche quello con la maggiore difficoltà di realizzazione. Tanto da non poter essere introdotti in azienda prima di due anni.

Cittadini ancora lontani dalle “App”: l’indagine Osservatorio-Doxapharma. I cittadini (2.030 gli intervistati nella survey realizzata in collaborazione con Doxapharma) preferiscono ancora accedere ai servizi di persona, soprattutto quando si guarda al consulto medico vero e proprio (86%), al pagamento (83%) e al ritiro dei referti (80%). Il telefono resta il canale preferito per prenotare nel 51% dei casi, mentre il web è usato principalmente per accedere alle informazioni su strutture e prestazioni sanitarie (40%) e ritiro di documenti clinici (21%). I più “smart” sono i cittadini tra i 45 e i 54 anni: in generale però, in media tre italiani su dieci che hanno fatto accesso ai servizi, dichiarano di non aver utilizzato il digitale perché “non si sentono ancora in grado di farlo”, soprattutto se anziani.
Le App per accedere a servizi e informazioni sanitarie sono ancora poco diffuse. Nel dettaglio: un cittadino su quattro (il 25%) utilizza App “informative”, per cercare le farmacie di turno, il 20% per trovare la farmacia più vicina e il 19% per informarsi sui farmaco. Basso l’utilizzo di App di “coaching” – ma l’impiego crolla tra gli over 55 e i multicronici, che pur avendone potenzialmente molto bisogno non sono informati dal Mmg -: è del 19% per monitorare lo stile di vita, del 12% per monitorare parametri vitali, come la pressione. Le App per ricevere avvisi su controlli medici o esami periodici destano interesse, ma sono utilizzate soltanto nel 7% dei casi.
A chi si rivolgono i cittadini? Principalmente al medico, mentre i canali digitali come i portali di medicina, i social media e le App sono poco usati come principale fonte d’informazione. Fanno eccezione i giovanissimi: tra i 15 e i 24 anni si affidano in prima istanza a fonti digitali. Per un’influenza persistente o per le vaccinazioni al medico di famiglia (74%) o al farmacista (14%, nel caso dell’influenza). Il Mmg si conferma l’interlocutore privilegiato in caso di valori alterati in un esame diagnostico (81%) e per la ricerca di informazioni su una situazione di salute grave (56%), ma in quest’ultima eventualità è lo specialista nel 37% dei casi la prima fonte d’informazione.
Quanto ai canali di comunicazione paziente-medico, in prima linea ci sono email, sms e WhatsApp; ma il 79% degli intervistati preferisce parlare al dottore di persona, e non per questioni di privacy. Una nota “digitale” sui medici: il 71% degli internisti e il 57% dei Mmg sarebbe favorevole a un’applicazione certificata e specifica, per la sanità, su modello WhatsApp.

Le barriere al digitale tra scarse risorse e alibi culturali. Il 73% dei direttori delle aziende sanitarie, il 48% dei Mmg e il 50% dei medici specialisti considerano le limitate risorse economiche una barriera all’introduzione di nuove soluzioni digitali. Ma le scarse finanze – rilevano dal Politecnico di Milano - sono anche un alibi per non agire. Perché il digitale presuppone anche nuove competenze e “committment” da parte dei decisori, la disponibilità degli operatori a mettersi in gioco e a superare i limiti della scarsa cultura digitale da un lato e della ridotta conoscenza delle potenzialità dei nuovi strumenti, dall’altro. Serve quindi un cambio di passo trasversale, che investa tutti i profili della sanità, “ma soprattutto quelli manageriali, che devono essere in grado di gestire – si legge nel Report dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità – l’integrazione di soluzioni digitali all’interno dei processi organizzativi. Le competenze di leadership digitale sono quindi un fattore di successo nella gestione di progetti di eHealth, con impatto su tutte le professioni sanitarie che si trovano ad assumere ruoli di eLeadership”. Medici specialisti, Mmg e infermieri inclusi.

Aggiornata il 8 maggio 2018