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Per il welfare serve un nuovo paradigma

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30 giugno 2015

Negli anni ultimi vent’anni, a livello mondiale, abbiamo assistito a due fenomeni contrapposti. Da un lato il sorprendente aumento dell’aspettativa di vita della popolazione (circa un anno in più ogni 4 anni), e dall’altro l’aumento della prevalenza delle malattie croniche che si sono diffuse su scala globale. La diretta conseguenza di tali fenomeni è avere una popolazione più longeva, ma al tempo stesso più anziana e, quindi, malata e bisognosa di cure (nel 2050 il 37% della popolazione europea avrà più di 60 anni). Cure che negli anni sono diventate sempre più efficaci e costose, creando spesso problemi di sostenibilità finanziaria. Contemporaneamente, il ripensamento dei sistemi di welfare (soprattutto in Europa) e, più recentemente, la crisi globale scoppiata nel 2007 hanno, in molti casi, aumentato le diseguaglianze nell’accesso alle cure sanitarie.

La disponibilità di buoni servizi sanitari in un Paese costituisce un elemento fondamentale per garantire un adeguato stato di salute alla popolazione e un elevato livello di benessere sociale. Questo paradigma è quello che ha guidato molte delle decisioni di politica sanitaria in Italia, permettendoci di guadagnare posizioni di rilievo in termini di aspettativa di vita. Purtroppo, come gli economisti insegnano, non esistono “pranzi gratuiti”, e anche il miglioramento dello stato di salute e l’elevata aspettativa di vita di cui oggi godiamo hanno avuto il loro costo. Un costo che finora siamo riusciti a pagare, ma che forse nei prossimi anni non potremo più permetterci, per il progressivo invecchiamento della popolazione. Se a ciò aggiungiamo le pessime condizioni della finanza pubblica, si comprende facilmente che in futuro i sistemi sanitari europei saranno obbligati a fornire più servizi con meno risorse.

Una sfida pressoché impossibile per la politica nei prossimi anni, a meno di non cambiare completamente il paradigma di intervento in sanità. Paradigma che, relativamente al caso italiano, fino a oggi è stato basato principalmente su due filoni di intervento: 1) il miglioramento dell’efficienza del sistema e 2) l’introduzione di fondi sanitari integrativi. Sebbene utili nel breve periodo, tali strumenti potrebbero non essere adeguati nel lungo. Lo scetticismo su tali strumenti dipende dal fatto che, come noto, dall’eliminazione delle inefficienze non si riuscirà a recuperare più del 5-7% delle somme oggi necessarie, implicando una riduzione una tantum del livello del finanziamento senza cambiarne il trend di lungo periodo. Inoltre, i fondi sanitari integrativi non risolveranno il problema, ma rischieranno solo di creare un’ulteriore divaricazione sociale tra quei cittadini che potranno permettersi un’assicurazione sanitaria privata, e i molti che già ora hanno problemi a pagare la sanità privata, o addirittura a compartecipare alla spesa pubblica. Inoltre, in un contesto come quello attuale diventa difficile immaginare la possibilità, per chi ha redditi disponibili bassi, di poter accantonare altre poste per la sanità integrativa.

Il lavoro svolto all’interno del progetto europeo «Recipes for Sustainable Healthcare» sostenuto da Abbvie e coordinato dallo European Steering Group (Esg), ha invece indicato una strategia alternativa che dovrà ambire a spostare risorse economiche e umane dalla cura delle malattie alla prevenzione. Aspettare che i cittadini, in seguito ad anni di stili di vita poco salutari (eccessivo introito calorico e proteico, malnutrizione, vita sedentaria, alcol, fumo), si ammalino e utilizzino i servizi sanitari è una strategia perdente e costosissima. Ma per fare ciò occorre avere strumenti che permettano di valutare con precisione l’efficacia delle politiche messe in campo. Secondo l’Ocse, l’Unione europea e il Centers for Medicare Medicaid Services (Cms) per vincere tale sfida il primo obiettivo deve essere quello di riuscire a prevedere l’evoluzione futura della spesa socio-sanitaria. Infatti, solo grazie a precise previsioni dei livelli di spesa sanitaria sarà possibile disegnare adeguate risposte di policy. L’alternativa sarà basare tutto sull’improvvisazione, con effetti deleteri per il benessere individuale e collettivo.

Da questo punto di vista il progetto italiano ha voluto contribuire a rendere disponibile uno strumento di analisi capace di aiutare i policy maker nel prendere decisioni informate, e capace di migliorare l’efficacia delle politiche e quindi il benessere delle persone.

Il modello proposto è, però, solo un primo passo verso un sistema che dovrebbe, in modo più strutturato, basare le proprie scelte su informazioni quantitative. Informazioni che grazie alle nuove tecnologie informatiche si spera nel tempo saranno sempre maggiori e più precise, permettendo così di poter simulare scenari sempre più complessi, ma con risultati sempre più vicini a quanto accade nel mondo reale.

 

Aggiornata il 30 giugno 2015